La responsabilità penale degli organi di controllo nel Codice della Crisi – Luca Cosentino

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La responsabilità penale degli organi di controllo nel Codice della Crisi

L’impianto penale concorsuale permane sostanzialmente immutato nel Codice della Crisi svelando la supremazia sul tempo del legislatore del 1942 capace di realizzare un sistema armonicamente coniugabile al presente.

Con riferimento agli organi di controllo, il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155, introduce un profilo ulteriore di coinvolgimento oltre quello del classico concorso nei reati di bancarotta. Il fulcro di tale potenziale responsabilità è circoscrivibile all’art. 14 del CCI che prevede l’obbligo di controllo e segnalazione in capo a determinati organi di verifica.

Occorre innanzitutto identificare i destinatari di tale obbligo: i primi nell’elenco sono i sindaci, ossia gli organi di controllo societari per antonomasia, ma non sono i soli; oltre ai sindaci sono da menzionare i componenti del consiglio di sorveglianza e del comitato per il controllo sulla gestione, previsti nel sistema dualistico, pur statisticamente residuale; in sostanza gli organi di controllo a cui è diretto l’art. 14 del CCI sono quelli a cui è demandata la facoltà di intervento sostanziale sulla società mediante ricorso al Tribunale ai sensi dell’u.c. dell’art. 2409 c.c.

Pertanto è da escludere sicuramente la responsabilità ex art. 14 CCI in capo all’Organismo di Vigilanza previsto dall’art. 6, comma 1, lett. b) del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Tale esclusione non deriva, però, dalla facoltà riservata alle società di istituire o meno tale organo di controllo, altrimenti si potrebbe asserire per assurdo che i collegi sindacali costituiti nelle società sotto soglia di obbligatorietà siano esentati da responsabilità essendo discrezionale la loro istituzione. L’OdV è esonerato da responsabilità in quanto ad esso è inibito l’esercizio di potere coercitivo o deterrente, in primis ex art. 2409 c.c., in quanto è abilitato esclusivamente ad interloquire con l’organo amministrativo, ossia con l’entità gestionale verticistica endogena.

Pertanto, il Codice della Crisi, all’art. 14, attribuisce la responsabilità per il mancato controllo e l’omessa, o tardiva, segnalazione solo a quei soggetti che hanno effettivamente il potere di intervenire, in maniera concreta, esternando le criticità riscontrate che, nel caso di specie, si declinano nell’inadeguatezza dell’assetto organizzativo, nello squilibrio economico finanziario in considerazione della prognostica gestionale e, soprattutto, se sussistono elementi sintomatici della crisi. Il legislatore aggiunge esplicitamente, però, un’ulteriore figura, nella sua veste dicotomica individuale o societaria: il revisore legale, già revisore dei conti, che, a differenza del collegio dei sindaci o delle analoghe figure del sistema dualistico, non detiene i poteri di cui all’art. 2409 c.c. Si paleserebbe, pertanto, una distonia in quanto si attribuirebbero le medesime responsabilità in capo a due figure dotate di strumenti completamente diversi, i sindaci ed i revisori; tale potenziale discrasia è risolta nel successivo periodo del comma I, art. 14 CCI, quando il legislatore specifica che tali soggetti sono responsabili ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni.

Condensando i termini del raffronto tra le due figure professionali, emerge che il potere di controllo dei sindaci è così penetrante da tradursi, ad esempio, nella partecipazione alle riunioni del C.d.A. quando, al contrario, tale presenza è inibita ai revisori. Questi ultimi, infatti, limitano la propria attività di controllo alla formazione del bilancio mentre l’attività dei sindaci si sostanzia in un vero e proprio potere ispettivo interno alla società. Emerge chiaramente non solo un differenziale qualitativo e quantitativo dei controlli posti in essere dai sindaci rispetto ai revisori ma, ad un’attenta analisi, affiora anche un’asincronia temporale in quanto il potere ispettivo dei sindaci appare contestuale, se non simultaneo, al processo decisionale e attuativo degli organi amministrativi mentre l’accertamento dei revisori si sostanzia in una fase successiva, fondamentalmente in sede di stesura del bilancio quando, poste già in essere le decisioni e le operazioni, le scritture di partita doppia, quale traduzione ragionieristica degli eventi aziendali, si sedimentano nello Stato Patrimoniale, nel Conto Economico e nella Nota Integrativa. Sovente, questa demarcazione dei ruoli, delle funzioni, e, appunto, della tempistica, si riflette, quando il reato si estende a tali organi, nella contestazione dell’illecito penale a titolo di concorso in capo ai sindaci e di favoreggiamento in capo ai revisori. Almeno così dovrebbe essere.

Certamente, in ossequio agli obblighi di cui al comma I, art. 14 CCI, l’esito dell’attività dei sindaci e dei revisori sfocia nell’identico dovere di segnalazione ai sensi del comma II, art. 14 CCI. La mancata o intempestiva comunicazione, connotata di precise formalità, si traspone quindi in una condotta omissiva che, in quanto tale, trova asilo nel comma II, art. 40 c.p., in base al quale, si rammenta, non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.

La dinamica sostanziale dell’inottemperanza ai dettami del comma 14 CCI, impatta, non raramente, nella fattispecie del ricorso abusivo al credito ex art. 325 CCI per la cui realizzazione appare funzionale la condotta omissiva degli organi di controllo che si sono astenuti dal segnalare tempestivamente le fenomenologie sintomatiche dello stato di crisi codificate, attraverso l’esegesi toccata nel prosieguo di questo scritto, dal legislatore del tempo presente, pur rammentando il differente titolo di coinvolgimento nel reato da parte dei sindaci, in concorso, rispetto ai revisori, per i quali potrebbe prevalere il connotato del favoreggiamento.

Esula dal brano in lettura il profilo della responsabilità civile la cui penetrante estensibilità ai sindaci ed ai revisori potrebbe avere conseguenze ferali specie nel caso in cui la curatela riscontri concrete aspettative di ristorno economico da costoro piuttosto che dalle figure amministrative, spesso spogliatesi preventivamente di beni aggredibili. Il cenno alla responsabilità civile non è però casuale ma serve a catalizzare l’attenzione sulla discriminante che sussiste tra tale profilo e quello penale per il quale spicca la rilevanza dell’elemento soggettivo.

Con riferimento a quest’ultimo, il percorso giurisprudenziale inerente al concorso dei sindaci, ed in misura residuale dei revisori, si è altalenato tra dolo e colpa specifica, sviluppando concetti come il willful blindness, fino a sedimentarsi nei cosiddetti “campanelli di allarme” la cui percettibilità, si sottolinea, varia a seconda che si tratti di sindaci o dei revisori. La Commissione Rordorf ha, sostanzialmente, codificato la pregressa esperienza giurisprudenziale e, mediante l’indicizzazione ex art. 13 CCI, ha delimitato, in maniera scientifica, anche il perimetro dell’elemento psicologico riconducibile, prima dell’entrata in vigore del Codice della Crisi, all’alea ed all’opinabilità dei predetti “campanelli di allarme”.

La lettura a sistema di quanto sopra svela, ancora una volta, l’asincronia con cui sindaci e revisori possono intercettare i “segnali di allarme”, ovvero gli indicatori, e tale circostanza si traduce, tendenzialmente, in una differente soglia di responsabilità ascrivibile alle due figure in argomento, considerando altresì il nesso di causalità ex comma I, art. 40 c.p., derivante dalle condotte omissive riferibili a “ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni” ai sensi e nell’ambito del comma I, art. 14 CCI. E’, quindi, proprio in aderenza a tale ultima novella normativa che si paleserebbe la possibile dicotomia tra la responsabilità dei sindaci, in concorso, rispetto a quella dei revisori, a titolo di favoreggiamento.

In ultimo, il quadro della responsabilità penale degli organi di controllo e dei revisori legali si inserisce in una nuova cornice investigativa a fronte degli inediti poteri attribuiti al Curatore (Nuovi poteri investigativi del curatore e profili penali nel codice della crisi: handle with care, Luca Cosentino, Il Caso) dalla cui attività d’indagine saranno ineluttabilmente investiti i soggetti contemplati dal comma I, art. 14 CCI.

Luca Cosentino – dottore commercialista in Pescara

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Postato il

19 Febbraio 2020