La demolizione degli immobili confiscati con abusi non sanabili nel “Decreto Sicurezza”: soluzioni alternative e prospettive applicative di Luca Cosentino

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Il Decreto Legge 11.04.2025 n. 48, convertito, senza modifiche, dalla Legge 9 giugno 2025, n. 80 (pubblicato in G.U. n. 131 del 09.06.2025, entrato in vigore il 10.06.2025), noto come Decreto Sicurezza, all’art. 7 prevede modifiche al Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di impugnazione dei provvedimenti di applicazione delle misure di prevenzione personali nonché di amministrazione di beni sequestrati e confiscati. In particolare, per quanto concerne la gestione degli immobili confiscati, all’articolo 36 CAM, dopo il comma 2 è inserito il seguente:

“«2-bis. Nella relazione di cui al comma 1, l’amministratore giudiziario illustra altresì in dettaglio le caratteristiche tecnico-urbanistiche dei beni immobili, evidenziando, in particolare, la sussistenza di eventuali abusi nonché i possibili impieghi dei cespiti in rapporto ai vigenti strumenti urbanistici generali, anche ai fini delle valutazioni preordinate alla destinazione dei beni. A tale scopo l’amministratore giudiziario formula, se necessario, apposita istanza ai competenti uffici comunali, che la riscontrano entro quarantacinque giorni dalla richiesta dando comunicazione dell’eventuale sussistenza di abusi e della natura degli stessi.

Qualora la verifica risulti di particolare complessità o si renda necessario il coinvolgimento di altre amministrazioni o di enti terzi, i competenti uffici comunali forniscono all’amministratore giudiziario, entro il predetto termine di quarantacinque giorni, le risultanze dei primi accertamenti e le informazioni in merito alle ulteriori attività avviate e, successivamente, sono tenuti a comunicare gli esiti del procedimento.»;

2) al comma 3, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «L’amministratore giudiziario, proseguendo, se necessario, l’interlocuzione con i competenti uffici comunali sino al termine del procedimento di verifica di cui al comma 2-bis, assicura comunque il completamento delle verifiche tecnico-urbanistiche anche dopo l’avvenuto deposito della relazione, provvedendo a comunicare i relativi esiti».

Sempre in base al citato art. 7 del D.L. 11 aprile 2025, n. 48, all’articolo 40, dopo il comma 1 è inserito il seguente:

«1-bis. Se nell’ambito dell’accertamento tecnico-urbanistico di cui all’articolo 36, comma 2-bis, è accertata la sussistenza di abusi non sanabili, il giudice delegato, con il provvedimento di confisca, ne ordina la demolizione in danno del soggetto destinatario del provvedimento e il bene non è acquisito al patrimonio dell’Erario. L’area di sedime è acquisita al patrimonio indisponibile del comune territorialmente competente. Si applicano le disposizioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in materia di interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici»”. Tale integrazione normativa sull’art. 36 si riflette, conseguentemente, in maniera incisiva sull’art. 40 CAM che fornisce una inedita e drastica risoluzione nel caso di confische di immobili non sanabili.

L’intervento del Governo mira, molto opportunamente, a risolvere in maniera radicale situazioni burocraticamente incagliate e latrici di oneri per lo Stato che detiene, per il tramite dell’ANBSC, centinaia di immobili confiscati che non producono reddito e, spesso, generano costi di gestione, in particolare per le spese di manutenzione necessarie a preservarne l’integrità e a tutelare l’incolumità di terzi.

Espletati gli accertamenti tecnico-urbanistici, accertata la sussistenza di abusi non sanabili, il Giudice Delegato ordina, pertanto, la demolizione degli immobili in danno del soggetto destinatario del provvedimento ed il bene non è conseguentemente acquisito al patrimonio dell’Erario.

Prima di arrivare all’abbattimento delle strutture, operazione comunque tecnicamente delicata quando effettuata in contesti ad alta densità abitativa e caratterizzata da costi significativi, è opportuno verificare la possibilità di intraprendere le due strade qui di seguito tracciate per evitare tale deriva e, contestualmente, valorizzare il bene traducendolo in liquidità.

Prima soluzione.

Non raramente il sequestro sopravviene su immobili oggetto di procedure esecutive in essere nei confronti del debitore divenuto proposto. Come noto, l’art. 55 del D.lgs. 159/2011 tratta del rapporto del sequestro/confisca con le azioni esecutive nei seguenti termini: “A seguito del sequestro non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive. I beni già oggetto di esecuzione sono presi in consegna dall’amministratore giudiziario. Le procedure esecutive già pendenti sono sospese sino alla conclusione del procedimento di prevenzione. Le procedure esecutive si estinguono in relazione ai beni per i quali interviene un provvedimento definitivo di confisca. In caso di dissequestro, la procedura esecutiva deve essere iniziata o riassunta entro il termine di un anno dall’irre­vocabilità del provvedimento che ha disposto la restituzione del bene”.

Il dies a quo della sospensione decorre dal momento del sequestro, ovvero dal deposito del provvedimento in Cancelleria. Da questo istante non è consentito procedere con l’esecuzione immobiliare. Il dies ad quem della sospensione è individuato nella conclusione del procedimento di prevenzione che termina con la confisca definitiva o con la revoca del provvedimento ablativo.

Nella sostanza, la procedura esecutiva immobiliare subisce ineluttabilmente di fronte alla misura di confisca.

Affrontiamo quindi il caso dell’immobile confiscato gravato da abusi non sanabili, già oggetto di esecuzione immobiliare. L’intervento del legislatore promana dalla necessità che l’atto di vendita di un immobile debba contenere la dichiarazione di conformità edilizio-urbanistica (art. 46 D.P.R. 380/2001, già art. 40 L. 47/1985). Se l’immobile presenta abusi non sanabili, la dichiarazione non può essere resa: l’atto è nullo. Non esiste possibilità di deroga nell’ambito giudiziario come nel caso della divisione ereditaria, della liquidazione di comunioni, della vendita ex art. 786 c.p.c. o altre procedure civili similari e, appunto, delle vendite di beni immobili confiscati (Cass. civ. 4817/2022; 21504/2019). Il comma V dell’art. 46 D.P.R. 380/2001 prevede però due specifiche eccezioni: le vendite giudiziarie effettuate nell’ambito della liquidazione giudiziale e le vendite giudiziarie operate dalle esecuzioni immobiliari.

Solo nel perimetro della procedura esecutiva immobiliare e della procedura esecutiva collettiva della liquidazione giudiziale è possibile vendere immobili caratterizzati da abusi non sanabili. Prevedendo l’eccezione in caso di procedure esecutive o liquidazioni giudiziali in essere, si ritiene che su impulso del creditore procedente o meglio dell’ANBSC ovvero del suo coadiutore, il Giudice Delegato possa assecondare un arretramento della procedura di confisca esclusivamente sull’immobile connotato da abusi non sanabili.

Sottolineando che l’immobile rimane comunque inciso da una procedura giudiziaria, appunto l’esecuzione immobiliare o la liquidazione giudiziale, qualora non si trovassero soluzioni di contemperamento tra le varie procedure, il Giudice Delegato potrebbe anche revocare, per quel determinato immobile, la misura ablativa (in quanto privo di valore commerciale per la procedura di confisca) la quale, pertanto, avrebbe titolo ad intervenire insinuandosi in una delle due procedure esecutive, eventualmente superando anche lo schermo ex comma II dell’art. 222 CCII, già comma II dell’art. 111 bis L.F., nel caso di liquidazione giudiziale. In maniera meno impattante, il Giudice Delegato, anche in forza di quanto relazionato ai sensi della lettera e), comma I, art. 36 CAM, potrebbe valutare, in via interpretativa, la possibilità di sospendere o limitare gli effetti della confisca con riferimento all’immobile connotato da abusi non sanabili, laddove ciò consenta di valorizzare il bene in una procedura esecutiva ancora pendente. Si tratta di un’ipotesi non prevista espressamente dalla normativa vigente, ma che potrebbe essere sostenuta alla luce di esigenze di economicità e tutela dei creditori.

In questo modo si realizzerebbe un circuito virtuoso: a) lo Stato evita di sostenere i costi di demolizione e smaltimento; b) il bene immobile è valorizzato mediante il processo liquidatorio competitivo; c) il creditore procedente nell’esecuzione immobiliare o la massa nella liquidazione giudiziale incassa somme destinate al pagamento del proprio credito quando al contrario vedrebbe il diritto leso dall’intervento statale senza alcun beneficio per la collettività; d) la procedura di confisca realizza attivo intervenendo nel riparto dell’attivo.

Seconda soluzione.

Come già scritto, l’atto di vendita di un immobile deve contenere la dichiarazione di conformità edilizio-urbanistica (art. 46 D.P.R. 380/2001, già art. 40 L. 47/1985) pertanto se l’immobile è gravato da abusi non sanabili, la dichiarazione non può essere resa e l’atto è nullo. Oltre la soluzione fornita dalle procedure esecutive di cui sopra si è scritto, in caso di abusi non sanabili, si potrebbe invocare ed applicare quanto stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione che, a Sezioni Unite, il 22 marzo 2019, con sentenza n. 8230, ha risolto il conflitto tra la cd. teoria formale e la cd. teoria sostanziale, pronunciando il seguente principio di diritto: “La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell’ambito del comma III dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’ immobile”. Quindi “in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”. Tale fondamentale pronuncia della Sezioni Unite, oltre ad assottigliare drasticamente la casistica introdotta dall’art 7 del Decreto Sicurezza, costituisce un utile strumento di discernimento per valorizzare anche immobili insanabili prima facie destinati ad un’inesorabile demolizione. Si ripete che, in forza della Cassazione in questione, la validità dell’atto di vendita presuppone che esista comunque un titolo edilizio reale e riferibile all’immobile: se l’immobile è costruito interamente in assenza di titolo, la nullità rimane.

In conclusione, il Decreto Sicurezza introduce un meccanismo efficace per la risoluzione di situazioni di stallo nella gestione di immobili confiscati, prevedendo la demolizione degli immobili con abusi insanabili, stimolando, altresì, quantomeno una riflessione sui possibili strumenti alternativi, giuridicamente sostenibili, per evitarne la perdita di valore. L’impulso del Decreto Sicurezza, integrato con istituti esterni al CAM e con l’ausilio della giurisprudenza di legittimità, richiama i soggetti coinvolti nella gestione dei beni confiscati a un ripensamento strutturale, finalizzato a massimizzare l’interesse collettivo, tracciando linee evolutive del sistema.

Competenze

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Postato il

7 Luglio 2025