ANALISI DEI REATI NELLE PROCEDURE DI COMPOSIZIONE DELLE CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO di Luca Cosentino, dottore commercialista in Pescara

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La disciplina penale delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento è contenuta in un unico articolo del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, segnatamente al Titolo VIII, Capo IV: art. 344.

Tale articolo, ricalcando il contenuto dell’art. 16 della Legge 27.01.2012, n. 3, completa lo spettro sanzionatorio non coperto da fattispecie afferenti reati più gravi. Tenuto conto dell’ambito di operatività, la tipologia di più intuitiva evocazione appare essere l’art. 640 c.p. considerando la più elevata pena edittale di tale fattispecie di reato. Si tratta quindi di illecito penale avente natura sussidiaria.

L’art. 344 CCI esordisce, alla lettera a) del I comma, punendo il debitore che, al fine di ottenere l’accesso alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, precisamente quelle di ristrutturazione dei debiti del consumatore e di concordato minore, compie le seguenti condotte: aumenta il passivo, diminuisce il passivo, sottrae o nasconde una parte rilevante dell’attivo oppure rappresenta attività che non esistono. Per quanto concerne l’elemento soggettivo, si tratta chiaramente di dolo specifico in quanto chi realizza l’illecito opera allo scopo precipuo di accedere alle predette due procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento. L’esplicitazione del nesso psicologico permette, altresì, di individuare esattamente la collocazione temporale dell’azione del reo: trattasi della fase prodromica alla procedura.

Procedendo con l’esame delle condotte elencate nella lettera a), la simulazione di attività inesistenti risulta palesemente finalizzata ad allettare artificiosamente la platea creditoria; la dissimulazione e la sottrazione dell’attivo si traduce nella distrazione in danno della massa che subisce l’estromissione di asset di cui sarebbe potenziale beneficiaria; la diminuzione del passivo è riconducibile alla rappresentazione di una falsa situazione delle esposizioni debitorie in senso migliorativo rispetto a quella reale.

Rimane da esaminare la prima fattispecie elencata alla lettera a): l’aumento fittizio del passivo. Si rammenta il posizionamento temporale ante procedura quindi non si tratta della casistica in cui una falsa appostazione debitoria è finalizzata a comportare benefici patrimoniali ad un soggetto che ha concertato tale fittizia posizione con il debitore. Non si tratta neppure di alimentare l’adesione della platea dei creditori attraverso irreali compiacenti creditori in quanto, ad eccezione di quanto previsto all’art. 79 CCI, non è previsto l’esercizio del diritto di voto da parte dei creditori nelle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento. La condotta in questione appare relegabile essenzialmente all’annacquamento del passivo al fine di configurare uno stato di crisi, che invero non esiste, al fine di accedere, mediante lo strumento della procedura di sovraindebitamento, ai benefici previsti da questa e, in prima istanza, alla falcidia fiscale altrimenti non conseguibile. In senso adesivo a tale chiave di lettura rileva che, a differenza di quanto scritto al comma I dell’art. 341 CCI, nel caso in argomento non è esplicitata l’ipotesi di influenza sulla formazione delle maggioranze.

Passando alla lettera b) del comma I dell’articolo in esame, il debitore è punito quando produce documentazione contraffatta o alterata, quando sottrae, occulta o distrugge, anche solo parzialmente i documenti inerenti alla propria situazione debitoria o contabile. Anche la condotta di cui alla lettera b) colloca il debitore nella fase precedente l’accesso alle tre procedure di 1) ristrutturazione dei debiti del consumatore; 2) concordato minore; 3) liquidazione controllata del sovraindebitato.

Anche in questo caso affiora chiaramente, quale elemento psicologico, il dolo specifico: al fine di ottenere l’accesso alle procedure di cui alle sezioni II e III del capo II del titolo IV e di quelle di cui al capo IX del titolo V.

La condotta in questione non ha alcun connotato omissivo; si tratta di un soggetto che produce, altera o distrugge documenti, contabili e non contabili. Il bacino giurisprudenziale da cui attingere per tale tipologia di reato, per quanto concerne il profilo oggettivo, potrebbe essere per analogia costituito dalla previsione di cui al punto 2) comma I, art. 216 L.F. attualmente trasfuso nella lettera b), comma I, art. 322 CCI.

Nella successiva lettera c) dell’art. 344, il debitore è ormai entrato nelle procedure di ristrutturazione e concordato minore in cui, violando il piano omologato, effettua pagamenti non dovuti. La fattispecie è fondatamente ultronea e distinta rispetto ad una condotta meramente distrattiva. Si tratta dell’inosservanza della declinazione sostanziale della previsione di soddisfacimento della massa, anche nel mancato rispetto della cadenza temporale dei pagamenti in ottemperanza alla par condicio creditorum. Per quanto concerne il profilo soggettivo, per la lettera c), la catalogazione più appropriata risulta essere il dolo generico.

Proseguendo con la lettera d), la norma sanziona il debitore che, successivamente al deposito del piano di ristrutturazione o della proposta di concordato minore, aggrava la sua posizione debitoria. Anche in questo caso risulterebbe richiesto il dolo generico. Fonte analogica per comprendere tale fattispecie potrebbe essere, mutatis mutandis, la lettera d), comma I, art. 323 CCI.

Il quadro si chiude con la previsione della lettera e). Evidenziando il connotato psicologico intenzionale del reo, il legislatore punisce il debitore che non rispetta i contenuti del piano di ristrutturazione dei debiti o del concordato minore. Trattasi di una condotta diversa dalla mera estromissione patrimoniale; sovente il soggetto, dopo l’avallo o l’adesione alla sua proposta, non ne osserva i contenuti attuativi, omettendo operazioni propedeutiche o strumentali aventi, ad esempio, per oggetto, un contratto, una fusione, una cessione o un vincolo reale.

Il comma II dell’art. 344 CCI contempla l’esdebitazione del sovraindebitato incapiente; si tratta della persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, il quale si avvale di documentazione contraffatta o di false dichiarazioni nonché sottrae, occulta o distrugge, anche parzialmente, la documentazione inerente al proprio quadro debitorio anche nella forma della partita doppia. Il profilo soggettivo appare relegabile al dolo generico che, se sussistente, comporta, al compimento di tali atti, le pene previste dal comma I del medesimo articolo.

Sia al comma I che al comma II dell’art. 344 CCI, i reati possono essere commessi esclusivamente dal debitore. Sono reati propri.

Ambedue i commi sopra esaminati prevedono reati di pericolo, essendo il bene giuridico protetto, ovvero la procedura, tutelata mediante l’anticipazione della soglia di difesa.

Nei commi III e IV dell’art. 344 CCI, il reato proprio è, invece, in capo al componente dell’organismo di composizione della crisi. Tenuto conto che il legislatore ha previsto l’apposito reato di cui ai commi III e IV dell’art. 344 CCI pur sussistendo il dispositivo dell’art. 328 c.p., appare suffragata la tesi che il componente dell’OCC assolva ad un ruolo privato piuttosto che di incaricato di pubblico servizio ex art. 358 c.p.

Le false attestazioni punite ex comma III, art. 344 CCI, devono essere rese nell’ambito della presentazione della domanda, tramite OCC, della procedura di ristrutturazione dei debiti ex art. 67, nella proposta di concordato minore ex art. 74, nella liquidazione controllata del sovraindebitato ex art. 268 e, infine, nella domanda di esdebitazione del sovraindebitato incapiente ex art. 283. La pena edittale ivi prevista è calibrata in senso riduttivo rispetto all’analoga disciplina prevista dall’art. 342 per le procedure di maggiore consistenza del CCI.

Nel comma IV si trova l’unico reato non di pericolo, rispetto all’intero ventaglio che caratterizza l’art. 344 CCI, in quanto la condotta, per essere penalmente rilevante, deve provocare un danno ai creditori. La fattispecie sembra in parte collegabile anche al dovere, in capo all’OCC, previsto dal comma III, art. 72 CCI.

Non solo la norma prevede la necessaria sussistenza di un danno patrimoniale nei confronti dei creditori ma l’omissione ed il rifiuto dell’atto d’ufficio deve avvenire senza giustificato motivo, pertanto si ritiene che, nella dinamica interlocutoria tra l’istante e il componente dell’OCC riluttante, quest’ultimo, a fronte di diffida, non risponda affatto o risponda in maniera insufficiente o inappropriata alle sollecitazioni del primo. In considerazione di quanto previsto al comma I, art. 72 CCI, se la fattispecie in trattazione fosse concatenata alla revoca dell’omologazione, l’elemento psicologico troverebbe asilo nel dolo generico se non nella colpa grave.

In linea generale e pragmatica, considerando che l’imputazione del membro dell’OCC può derivare anche da un’inconsapevole acquisizione di documentazione falsa, contraffatta o alterata pervenuta per il tramite del debitore, si rivela risolutiva l’acquisizione diretta presso la sorgente dati e, nei casi in cui questa non fosse possibile, come può accadere con talune Inps o Centrali Rischi territoriali, è opportuno dare menzione – e conservarne documentazione probante – negli attestati e nelle relazioni, del diniego ricevuto a fronte del tentativo di acquisizione documentale diretta.

 

Competenze

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Postato il

29 Giugno 2024