Il primo comma dell’art. 644 c.p. prevede che chiunque, a fronte della concessione di un prestito in denaro, o altra utilità, riceva la dazione o la mera promessa di interessi superiori alla soglia di legge, è punito con la reclusione da due a dieci anni.
Il c.d. tasso soglia promana da un indice fissato dalla legge 7 marzo 1996, n.108, che affida al Ministero del Tesoro, di concerto con la Banca d’Italia, il compito di rilevare trimestralmente il tasso effettivo globale medio degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati. Si tratta della nota usura oggettiva, parametro di legalità derivante da un calcolo matematico da applicare con particolare perizia tecnica, basata sul raffronto tra tasso effettivo e tasso soglia, “oltre il quale”, come recita il comma IV dell’art. 2 della Legge 108/1996 ed il comma III dell’art. 644 c.p., “gli interessi sono sempre usurari”.
Proseguendo nella lettura dell’art. 644 c.p., dopo la richiamata prima frase del comma III, si perviene al successivo periodo che disciplina la meno conosciuta usura soggettiva. Si tratta di un profilo di usura residuale che esula quasi completamente da calcoli matematici il cui tasso, pur collocandosi nell’alveo della legalità, comporta la configurazione del reato di usura a carico del soggetto mutuante che ha contrattualizzato, ha ricevuto denaro o, semplicemente, chiesto il rimborso di somme quando il mutuatario era in stato di difficoltà economica e finanziaria.
Occorre, innanzitutto, precisare l’etimologia delle parole: per mutuante si intende colui che concede un prestito mentre per mutuatario colui che, ricevendolo, deve restituire la sorte capitale con gli interessi; il concetto quindi non si limita alla consueta accensione del mutuo bancario con ipoteca; in questa trattazione si usano i termini nel loro significato originario. Il mutuante è colui che genericamente presta soldi o altra utilità mentre il mutuatario è il beneficiario del prestito che, divenuto debitore, deve restituire quanto percepito in un’unica o più soluzioni, mediante denaro, cessione di beni o servizi.
L’usura soggettiva è una fattispecie di chiusura dell’art. 644 c.p.; mediante tale tipologia si completa il ventaglio delle casistiche lasciando invariato l’impianto metrico dell’usura oggettiva e, senza scardinare la norma né sovvertendo il primario criterio estimativo, sviluppa una seconda dimensione valutativa, quella concreta. Quest’ultima, però, annullando la dicotomia mutuante/mutuatario, focalizza, apparentemente, l’analisi solo su quest’ultimo, appunto sulla sua situazione di persona fisica o giuridica.
L’usura soggettiva, chiamata anche usura in concreto, tutela i casi che, pur privi del presidio del tasso soglia, sono meritevoli, per la particolare condizione individuale, di protezione normativa.
L’usura soggettiva è completamente speculare a quella oggettiva, non solo perché cambia completamente la fonte di analisi ma anche perché l’usura in concreto non ha regole giurimetriche, non ha numeri (se non limitatamente al vago richiamo al tasso medio di cui si tratterà nel prosieguo) non ha, appunto, criteri obiettivi.
Elemento cardine di questa fattispecie di chiusura è che il debitore si trovi “in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”. Non è pertanto previsto che il mutuatario si trovi in “stato di bisogno” cioè in situazione di forte disagio economico che compromette anche le necessità primarie del soggetto. E’ sufficiente la condizione di difficoltà. Attingendo dalla copiosa dottrina e giurisprudenza in ambito concorsuale, emerge quindi che la condizione di difficoltà si colloca ad un livello di superiore rispetto allo stato di decozione, ovvero di insolvenza. Quest’ultima considerazione, secondo lo scrivente, deve essere un assioma e necessita di uno sforzo concettuale ulteriore penetrando nell’analisi dell’elemento psicologico del mutuante: nessuno erogherebbe un prestito ad un soggetto decotto perché, per definizione, il soggetto insolvente, anche in ottica prognostica, non sarebbe in grado di restituire, per definizione, quanto dovuto neppure liquidando l’intero suo patrimonio. Quindi, paradossalmente, la consapevolezza in capo al mutuante dello stato di decozione in capo al mutuatario, traducendosi nella mancanza di prospettiva di rientro della somma o utilità prestata, scardinerebbe l’intero impianto dell’art. 644 c.p.
In altri termini, nel caso in cui la difficoltà economica raggiunge un’intensità tale da tradursi in stato di decozione, per il soggetto economico fisico o giuridico o, parimenti, in stato di bisogno per la persona fisica, la fattispecie, se confortata dalla conoscenza di tale status soggettivo da parte del mutuante, piuttosto che rientrare nella casistica dell’usura in concreto, tracima ineluttabilmente in una fattispecie ultronea rispetto all’intero spettro dei casi relegabili all’art. 644 c.p.
Fondatamente, al fine di inquadrare correttamente lo status soggettivo di quanto in argomento, per condizione di “difficoltà economica o finanziaria” deve intendersi uno stato di crisi, assimilabile alla chiave soggettiva di accesso alla procedura concordataria, con un perimetro circoscritto non solo con l’esclusione di una posizione economica in melius, in quanto carente del requisito della difficoltà economia e finanziaria, ma anche in peius, in quanto il palese stato di insolvenza o di bisogno annienterebbe il connotato psicologico del mutuatario privato ab origine dell’aspettativa di rientro non solo degli interessi ma della stessa sorte capitale.
In un certo senso tale pensiero è agevolato da Cass. pen., sez. II, 29 marzo 2017, n. 26214 in base alla quale “per l’accertamento della «condizione di difficoltà economica» della vittima deve aversi riguardo alla carenza, anche solo momentanea, di liquidità, a fronte di una condizione patrimoniale di base nel complesso sana, laddove, invece, la «condizione di difficoltà finanziaria» investe più in generale l’insieme delle attività patrimoniali del soggetto passivo, ed è caratterizzata da una complessiva carenza di risorse e di beni”.
Per inciso, con una nota di colore, relativamente alla rilevanza dell’ingrediente dicotomico, materiale e psicologico, nel reato di usura, esemplificando, si rammenta la casistica del soggetto che, privo di idoneo spessore criminale e di deterrenza a fronte dell’omessa restituzione del denaro in suo favore, si improvvisa ad esercitare il mestiere dell’usuraio erogando prestiti (nel caso concreto, trattato da chi scrive come consulente tecnico della Procura, attingendo il denaro dalla liquidazione del proprio trattamento di fine rapporto) a soggetti terzi che, consapevoli dell’inoffensività del prestatore, avallavano la convenzione di tassi usurari, allettando il mutuante a prestare sempre più denaro, in quanto non avrebbero mai restituito alcuna somma al pensionato che, terminate le risorse pretese dai mutuatari, fu infine denunciato per usura nei loro confronti.
Pertanto, delimitati i due speculari margini estremi della condizione di difficoltà economica e finanziaria (da verificare mediante l’esame degli indicatori costituiti da valori ed indici di bilancio, decreti ingiuntivi, protesti, esecuzioni mobiliari ed immobiliari, ecc.), occorre esaminare la parte della norma in cui si tratta dell’entità di tale usura e, questa volta in maniera palese, lo stesso legislatore pone un limite superiore ed uno inferiore: l’usura soggettiva non interviene se il tasso applicato è superiore al tasso soglia, in quanto interviene l’usura oggettiva, e, quale limite verso il basso, tale tasso è prossimo al tasso medio (numero percentuale da cui promana il tasso soglia che, attualmente, è quantificato aumentando il tasso medio di un quarto ed aggiungendo un margine di ulteriori quattro punti percentuali).
Evidentemente, quello che nei capoversi precedenti sembrava un paradosso, ossia la delimitazione dello stato di difficoltà soggettiva confinandola con un doppio argine in melius così come in peius, decozione o stato di bisogno, si svela essere un criterio guida del comma III dell’art. 644 c.p. per il quale il legislatore ha individuato anche le soglie minima e massima del tasso per l’usura soggettiva, rispettivamente entro i margini del Tegm e del “tasso soglia di usura”.
Di fatto, in assenza di un preciso criterio matematico caratterizzante l’usura soggettiva, il legislatore ha fissato precisi paletti, di ordine numerico e di ordine economico/finanziario, entro cui il magistrato può delimitare l’usura in concreto.
Ultimo elemento essenziale della fattispecie criminale in esame è la “sproporzione rispetto alla prestazione di denaro”; questa, piuttosto che avere un disvalore quantitativo, appare avere essenzialmente un connotato qualitativo in quanto è connessa alle “concrete modalità del fatto”.
Fondamentalmente le preminenti problematiche per la configurazione del reato di “usura in concreto” derivano proprio dal concetto, marcatamente aleatorio, di “sproporzione”; questo accade perché troppo spesso l’ottica di analisi è stata circoscritta ai soli tassi adottati o convenuti nel rapporto. Invece, secondo chi scrive, occorre ampliare lo sguardo e l’esame all’intero rapporto da cui scaturisce il prestito. E’ necessario considerare il negozio tra mutuante e mutuatario, i rapporti di forza contrattuale, la potenziale coercizione commerciale, in altri termini il sinallagma inteso non solo come equipollenza delle entità in Dare e Avere ma è indispensabile estendere l’analisi agli elementi figurativi e non tangibili, decisamente più apprezzabili e meno astratti della mera contingenza computistica relegata agli interessi.
Un esempio vale più di tutte le teorie sul punto: il rapporto tra operatore economico e fornitore. Il primo, in situazione di crisi, non decozione, chiede ed ottiene la fornitura di merce con pagamento dilazionato; alla scadenza il debitore non onora il pagamento; chiede una dilazione ulteriore con interessi; gli interessi sono sotto soglia e sono anche fatturati dal fornitore; alla scadenza della seconda dilazione, il fornitore minaccia azioni legali al soggetto economico che, avendo necessità di ulteriori forniture per svolgere la sua attività, accetta un’altra dilazione con applicazione di interessi sempre nei margini di indici di legalità; parallelamente scadono i termini per il rientro sulla seconda fornitura; il fornitore concede una dilazione ad interessi prossimi ai tassi medi, pertanto non usurari; scadono anche questi termini, quindi il fornitore procrastina il rientro concedendo un allungamento dei termini ad interessi entro soglia; il mutuatario accetta qualsiasi condizione perché ha bisogno di altre forniture altrimenti la sua attività non sopravvive alla crisi; paga quindi parte significativa delle forniture ma comunque aumenta il debito complessivo perché decorrono interessi sulla seconda, sulla terza, sulla quarta e sulla quinta fornitura. L’acquirente è un soggetto sempre più debole e non ha alcuna capacità di contrattare con il fornitore che applica prezzi sempre più alti che fattura cumulando interessi su interessi, su ogni singola fattura non pagata, e sempre si tratta di interessi inferiori alla soglia di usura, prossimi ai tassi medi.
Questa è, probabilmente, la cosiddetta “usura in concreto”.
In questa ottica è utile menzionare la Cassazione 12 settembre 2014, n. 19282 che ha rappresentato come la sproporzione potrebbe esservi “con uno squilibrio contrattuale, per i vantaggi conseguiti da una sola delle parti, che alteri il sinallagma negoziale e per il cui apprezzamento il parametro di riferimento è dato dal superamento del tasso medio praticato per operazioni similari”.
In senso contrario alla soluzione, sanzionatoria, prospettata per il caso narrato, rileverebbe che le leggi della finanza comportano l’aumento della redditività in misura proporzionale all’incremento del rischio ma “le concrete modalità del fatto” sembrano ultronee alla mera applicazione di estrapolabili dettami della finanza.
Un’ultima considerazione: quanto scritto prescinde dalla crisi economica provocata dalla pandemia da virus cinese che affligge la realtà del tempo presente ma, ineluttabilmente, gli effetti dell’epidemia costituiranno un catalizzatore esponenziale della fenomenologia argomentata in queste pagine.
Luca Cosentino dottore commercialista in Pescara